E’
ora di svegliarsi dall’effetto ipnotico di Sarkozy e
vederne la strategia di conquista dell’Italia
Di
Carlo Pelanda
Dopo il
trionfo elettorale di Sarkozy questa rubrica avvertì
che un abile presidente francese non è una buona notizia per l’Italia. Ora tale
avvertimento va ripetuto.
Nel 1989 il
governo Mitterrand definì l’interesse prioritario di
bilanciare il riemergente potere della Germania. Nei primi anni ’90 concepì la
seguente strategia intraeuropea: (a) costringere la Germania a rinunciare al
marco, cioè al suo principale fattore di potenza; (b) formare un “blocco euromediterraneo” con Italia e Spagna per bilanciare
Berlino; (c) conquistare l’economia italiana per pareggiare la forza di quella
tedesca. La prima azione riuscì. Le altre due furono impostate nel 1993, la
terza come lista di 13 asset italiani da conquistare.
Ma non furono realizzate pienamente sia per resistenze sia per una reimpostazione della strategia fatta da Chirac.
Questi, rilevando la sorprendente passività e sudditanza geopolitica di Schroeder (1998 – 2005), tentò un modello di impero
franco-tedesco, alleato con Russia e Cina e in forte divergenza da Washington.
In tale situazione l’annessione di Italia e Spagna divenne meno prioritaria,
pur continuando la pressione. Sarkozy ha trovato una
situazione modificata dalla ripresa dell’attivismo geopolitico
e atlantico di Merkel ed una Francia isolata e
debole. Per questo ha messo in priorità l’alleanza con l’America, in modo da disintermediare Berlino, ed il ripristino della strategia
originaria detta sopra. Che sta realizzando con velocità approfittando della
acquiescenza di Prodi e dell’inconsistenza di Zapatero.
I rischi. L’interesse italiano è quello di ingaggiare tutta l’Unione europea,
Germania in primis, per la sicurezza del Mediterraneo, mantenere un rapporto
privilegiato con Washington e associare, in qualche modo, la Turchia alla Ue. Quindi l’accordo Euromed Parigi-Roma-Madrid, siglato in dicembre, che lascia fuori
Berlino, rende Parigi interlocutore dell’America ed esclude la Turchia, è una direzione
pericolosa. Sarkozy potrà avvalersi anche della forte
sintonia con il capitale privato francese oltre che della finanza ed industria
di Stato. Alitalia è andata, Finmeccanica
torna sotto pressione, Generali e Mediobanca, pur già
mezze ingoiate da tempo, il boccone più ambito, ma non quanto l’Eni. Non è un
problema di difesa dell’italianità, ma di evitare che gli asset
italiani servano la politica di potenza francese, tra l’altro a nostro danno. Questa
rubrica non vuole suscitare un’ondata antifrancese perché la compattezza
dell’occidente è una priorità. Ma segnala alla stampa, all’opposizione e a chi
nel governo non ha sul petto la
Legion d’onore che è ora di
svegliarsi.
Carlo Pelanda